Cerca nel blog

Translate

La rogna in cinque anni ha ucciso 2500 ungulati

Dicembre 2017
Ampezzo, strage di caprioli e stambecchi nel parco
La denuncia del direttore della Riserva: la rogna ha ucciso quasi 2.500 capi in un quinquennio


AMPEZZO. Nel parco naturale delle Dolomiti friulane è strage di caprioli e stambecchi. A lanciare l’allarme è Gian Pietro Fachin direttore della Riserva di caccia di Ampezzo.
«In un quinquennio la rogna ha decimato stambecchi, da circa 500 capi a meno di una cinquantina, e camosci, qui i numeri sono più che preoccupanti ma si parla di oltre 2000 capi nel silenzio generale delle parti in causa e di quanti hanno per anni plaudito all’istituzione di questo obbrobrio».

Fachin si scaglia contro la gestione del parco «che nelle intenzioni avrebbe dovuto dare impulso all’economia montana con ripercussioni positive sul turismo e l’economia locale con massicce presenze di turisti, visitatori e curiosi».

Si dice convinto che solo degli animali presenti nel parco si è parlato poco, specialmente quando gli ultimi cinque anni «si è portato allo scoperto ciò che ormai si sta rivelando come un autentico flagello».

Il presidente della Riserva non è d’accordo con quanti, «presidenza, direzione, ente parco, Regione, servizio faunistico, corpo forestale, ambientalisti e veterinari nei convegni dopo grandi discussioni e ingenti mezzi per discutere sul tema arrivano alla conclusione che “la rogna è una malattia endemica e ciclica e la natura deve fare il suo corso”».

Oramai non si contano più le carcasse rinvenute lungo i sentieri e le zone limitrofe al parco «siamo stati invitati a spostarle per non toccare la suscettibilità dei frequentatori» perché la malattia non conosce i confini e si è trasferita anche all’esterno.

«I cacciatori non sono stati ascoltati nella predisposizione del Piano faunistico regionale che innalza in maniera abnorme i numeri obiettivo per la crescita della specie camoscio entro l’anno 2020».

La soluzione per Fachin è rappresentata dall’abbattimento degli animali malati. «Se a qualcuno fosse venuto in mente che la caccia è oltre che terreno di scontro di ambientalisti incompetenti che nonostante gli esigui numeri tengono in scacco la politica ambientale di un paese intero come l’Italia anche una forma seria di gestione, la cessione di quote di abbattimento dei capi in sovrannumero stimati dopo seri censimenti avrebbero portato nelle casse del Parco liquidità per centinaia di migliaia di euro senza dover dipendere dalla Regione per pagare stipendi e iniziative

a supporto del parco stesso.
Ma tutto ciò avrebbe toccato gli animi di tanti pseudo-amanti delle povere bestiole che è meglio veder morire fra atroci sofferenze che fare come nel resto dei paesi evoluti e renderli una fonte di ricchezza per il parco stesso».

03 dicembre 2017