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Fetore, polveri irritanti e rumori causati dall’allevamento di bovini

Novembre 2017
Assediati dalle mucche, lasciano la casa
Protesta dei residenti di Borgo Ceschia che vogliono 800 mila euro di risarcimento per l’allevamento di bovini

SAN DANIELE. Da anni è costretta a convivere con un fetore irrespirabile, polveri irritanti e rumori persistenti. Per questo la signora Nives Ceschia ha presentato alla Camera di commercio una domanda di mediazione per la conciliazione, chiamando in causa il Comune di San Daniele reo, secondo la signora, di aver permesso la realizzazione di un allevamento industriale di bovini non a 300 metri dai centri abitati previsti dal Piano regolatore, ma a ridosso dell’abitazione della sua famiglia.
Negli occhi della signora Nives tutto lo sconforto di chi patisce una situazione insopportabile senza sapere che fare. Da decenni, ben prima dell’arrivo dell’azienda specializzata nell’allevamento di bovini, la famiglia della signora Nives risiede in Borgo Ceschia a Cimano.
Alla fine degli anni ’80, con l’arrivo dell’azienda, iniziano i guai. All’azienda infatti il Comune autorizza l’allevamento industriale esattamente nell’area a confine della proprietà della signora. «Viviamo da anni una situazione di grave disagio – spiega Nives Ceschia –: non possiamo aprire le finestre tale e tanto è l’odore che proviene dall’allevamento, per non parlare delle polveri che si disperdono nell’aria quando viene gettata la segatura sopra i liquami».

Nell’allevamento la produzione di liquami, secondo quanto riferito dalla confinante, è molto alta visti i 300 capi presenti. Il problema, secondo la signora, nasce soprattutto dal fatto che l’allevamento non è posto alla distanza prevista dalle vigenti norme.

Secondo quanto stabilito dal Piano regolatore generale della cittadina collinare nel punto relativo agli edifici per allevamenti zootecnici a carattere industriale, infatti. «Questi insediamenti – si legge nel piano – dovranno essere ubicati a una distanza dai centri abitati di norma non inferiore a 300 metri».

Da qui l’istanza inviata al Comune alla quale è stata allegata anche una cospicua richiesta danni, pari a 800 mila euro, in risarcimento a quanto subito a causa delle immissioni atmosferiche nauseabonde e dannose alla salute. Per far valere le proprie ragioni la signora Nives si è anche rivolta con un esposto alla Procura della Repubblica che sulla vicenda ha aperto un fascicolo, ma che in seguito ha disposto l’archiviazione.
Di recente, l’azienda aveva inoltrato richiesta di ampliamento per poter portare l’allevamento a 600 capi. «Non vi sono le condizioni per poter portare in approvazione una simile proposta di Piano attuativo – ha scritto il responsabile del servizio pianificazione di Villa Serravallo per tutta risposta -; viceversa sarebbe opportuno provvedere e favorire un processo di riconversione o riduzione dell’attività in essere abbinata alla delocalizzazione in un sito idoneo, anche attraverso misure di compensazione urbanistica».
Per il momento, intanto, la signora è stata costretta ad abbandonare l’abitazione paterna in cui risiedeva per spostarsi in una realizzata poco distante.
FONTE: Messaggero Veneto